Nello svolgimento di un piano per il cambio dello stile di vita (assunzione di una corretta nutrizione associato ad un adeguato livello di movimento) è molto facile “incappare in qualche ostacolo”, ma quello di cui spesso non ci rendiamo conto è che, molto più spesso di quello che sembra, l’ostacolo ce lo mettiamo davanti da soli, perché? Quali sono i segnali di allarme e come possiamo evitarlo? Ne parliamo con il Dott. Jacopo Sorcinelli, Psicologo e Psicoterapeuta del CPC Centro di Psicoterapia Cognitiva di Fano
Beh, in linea generale mi viene da fare subito una riflessione rispetto al cambiamento in sé, in quanto, benché desiderato e voluto il cambiamento porta con sé sempre una dose di incertezza rispetto a quello che sarà il futuro, quindi le emozioni che si possono provare rispetto al cambiamento potrebbero essere ambivalenti e contrastanti come, ad esempio, desiderio misto a paura. È un po’ come se ci trovassimo ogni giorno a confrontarci con l’importanza o addirittura l’inevitabilità di un cambiamento, penso in questo senso a persone con obesità grave o altre patologie croniche, e allo stesso tempo la paura o la preoccupazione rispetto al cambiamento stesso, in base alle contingenze a volte può prevalere l’una a volte l’altra. Le paure potrebbero essere diverse e soggettive, ad esempio la paura di dimagrire (il pensiero di poter ottenere un miglioramento nell’aspetto estetico esporrebbe il/la paziente al confronto con l’altro, qui si aprirebbe un tema diverso dalla dieta in sé. Quello delle relazioni sociali ed affettive) oppure la paura di non farcela nel raggiungimento dei propri obiettivi che denota un basso senso di autoefficacia percepita da parte del paziente nelle sue capacità. Nello specifico quello che può essere osservato è il definirsi delle cosiddette profezie auto avveranti, ad esempio un paziente che inizia un percorso di dieta con l’idea che tanto non riuscirà, avrà di per sé una bassa motivazione e sarà più facilmente esposto a demotivarsi di fronte a difficoltà od ostacoli anche previsti ad inizio percorso.
Banalmente mi viene da dirti la presenza di familiari che continuano a mangiare tali cibi, ad esempio, anche se ciò che si crea è una costante e continua esposizione al cosiddetto “cibo proibito” con la costante attivazione della memoria emotivo-sensoriale correlata al cibo in questione aumentando così la probabilità di assumerlo. Altro aspetto da non trascurare è la possibilità che il cibo in questione possa assolvere alla funzione di premio per il fatto stesso di averne fatto a meno per lungo tempo. In questo caso il concedersi uno sgarro per congratularsi con sé stessi per l’obiettivo raggiunto di fatto rimette in moto l’abitudine alimentare precedente.
Un atteggiamento simile può denotare una possibile tendenza alla di regolazione emotiva e comportamentale del paziente e questo spesso lo si può osservare in casi di Binge eating o di bulimia nervosa ma non solo. Per disregolazione intendo l’incapacità da parte del paziente di stabilire un limite ed interrompere il comportamento in questione. In questi casi è indubbio un ruolo significativo delle emozioni vissute dal paziente che hanno visto nell’assunzione incontrollata di cibo una forma di pseudo-regolazione. Inoltre, un atteggiamento tutto o nulla indica una visione perfezionistica da parte del paziente a tal punto che il piccolo sgarro in realtà viene vissuto come un fallimento totale e come conferma dell’inadeguatezza del paziente. Ovviamente non per tutti vale la stessa regola pertanto sarà necessario approfondire con il paziente allo scopo di comprendere come vive il percorso di dieta e che significato assumono possibili trasgressioni.
Da parte del medico/nutrizionista occorre che cerchi di capire ed indagare questo atteggiamento insieme al paziente. Nello specifico è importante capire le motivazioni alla base di queste modifiche e allo stesso tempo è importante confrontare il paziente con gli obiettivi del piano nutrizionale e come questi possono cambiare o addirittura non essere raggiunti in conseguenza di questi cambiamenti. Il medico/nutrizionista se da una parte lo “accoglie”, nel senso che non lo trascura, tale atteggiamento dall’altra deve anche definire con il paziente i limiti oltre i quali non andare per mantenere gli obiettivi in essere. Occorre considerare che tali atteggiamenti potrebbero denotare una tendenza personologica del paziente, ad esempio nel fidarsi poco delle indicazioni del nutrizionista o nel ritenersi incapace di portare avanti un piano nutrizionale, quindi difficoltà di gestione relazionale che prescindono il lavoro del nutrizionista in sé per sé.
In realtà l’auto sabotaggio va intercettato il prima possibile dal medico/nutrizionista, discusso e affrontato con il paziente, ad esempio proponendo un percorso psicologico parallelo al piano nutrizionale con obiettivi definiti e condivisi con il paziente. Dobbiamo ricordarci che il paziente potrebbe trovarsi nella condizione di confrontarsi con veri e propri automatismi emotivo-correlati per i quali occorre un trattamento specialistico.
Ringraziamo il Dott. Jacopo Sorcinelli, Psicologo e Psicoterapeuta del CPC Centro di Psicoterapia Cognitiva di Fano per i suoi preziosi consigli, che prossimamente verranno estesi ad altri aspetti delle difficoltà nel cambiamento.