Cambiamenti nelle popolazioni microbiche dell’organismo contrariamente a quanto ritenuto da alcuni autori in passato sembrano essere sempre maggiormente correlati a effetti fisiologici e/o patologici lungo la storia naturale dello sviluppo umano, considerato sin dalle primissime fasi. Risulta evidente dalla mole di dati pubblicati in letteratura come oltre agli sviluppi noti che progressivamente insorgono dal momento della fecondazione in termini di variazioni antropometriche, ormonali, metaboliche e immunitarie, si verifichino significative (secondo alcuni autori “drammatiche”) variazioni anche dal punto di vista microbico. Tali cambiamenti si manifestano interessando i diversi microbioti analizzabili nell’ organismo della gestante, a livello intestinale, vaginale, orale e placentare e mammario, con dinamiche caratteristiche della gravidanza/sviluppo fetale e della prima infanzia. Queste variazioni possono avvenire sia in termini fisiologici che in termini non fisiologici, caratterizzando un quadro di disbiosi microbica, ritenuta da alcuni autori in grado di esercitare un ruolo potenzialmente negativo anche sulle dinamiche relative alla gravidanza. Questo diventa particolarmente significativo considerando che la prima interazione tra i batteri e il prodotto del concepimento sembra nelle più recenti accezioni verificarsi precocemente nell’ unità feto placentare (Hu et al., 2013; Aagaard et al., 2014)., per evolvere successivamente con le dinamiche relative al parto, alla lattazione e all’ esposizione ai fattori ambientali. Le dinamiche legate al microbiota mostrano una profonda relazione con le condizioni fisiologiche dell’ospite, una loro più piena comprensione potrebbe suggerire in futuro importanti approcci di carattere terapeutico.
Con il temine microbiota vengono definite tutte le popolazioni batteriche presenti in una certa nicchia, includendo nel senso più ampio batteri, archei, funghi e virus, mentre dal punto di vista ecologico il microbioma rappresenta l’insieme di ecosistemi (in questo caso microbioti) che occupano ambienti simili. Queste comunità microbiche possono avere un ruolo derivante nell’ interessare la salute dell’ospite influenzandone le dinamiche metaboliche (Turnbaugh et al., 2006), immunitarie (Naik et al., 2012) e ormonali (Neuman et al., 2015). L’ambiente intestinale è uno di quelli maggiormente popolati (Lozupone et al., 2012), con una predominanza tra i phyla di Firmicutes e Bacteroidetes (Rajilic-Stojanovic et al., 2009). Le conseguenze della disbiosi a livello di questa nicchia microbica è associata a manifestazioni patologiche quali obesità, malattia infiammatoria intestinale (IBD), diabete e sindrome metabolica (Spor et al., 2011). Tra le diverse tecniche di analisi e studio quella metagenomica e soprattutto quella basata sul sequenziamento del rRNA 16S rappresentano quelle di maggior impiego e applicazione pratica, permettendo lo studio della biodiversità a livello di specie (Biodiversità α) e al livello di habitat (Biodiversità β). Questi dati oltre a confermare l’importanza e il ruolo delle popolazioni batteriche stanno suggerendo come anche archaea, lieviti, funghi e virus influenzino i loro ospiti; la ricerca futura potrà rivelare la loro reale importanza e i loro eventuali ruoli tra le altre cose anche relativamente alla gravidanza e alla prima infanzia.
Tra i principali cambiamenti fisiologici associati alla gravidanza riscontriamo variazioni nei parametri antropometrici, ormonali (in particolare progesterone ed estrogeni) e immunitari (Kumar e Magon, 2012). Nonostante classicamente la gravidanza sia considerata una condizione “anti-infiammatoria”, recenti acquisizioni l’hanno definita come un processo multistadio caratterizzata da una fase pro-infiammatoria nei periodi dell’impianto e del parto e una fase anti-infiammatoria nella fase centrale, durante la rapida crescita del feto (Mor e Cardenas, 2010). Molti dei cambiamenti metabolici caratteristici della gravidanza sono simili a quelli della sindrome metabolica presentando aumento di peso, elevati livelli di glicemia a digiuno, resistenza all’insulina, intolleranza al glucosio, infiammazione di basso grado e cambiamenti nei livelli di ormone metabolici (Fuglsang, 2008; Newbern e Freemark, 2011; Emanuela et al., 2012; Kumar e Magon, 2012). Tali alterazioni endocrino-metabolico-immunitarie correlano con significativi cambiamenti a livello di microbiota, in diversi siti dell’organismo.
Durante la gravidanza sono stati documentati sia un aumento quantitativo (aumento della carica batterica) che qualitativo a livello del microbiota intestinale (Collado et al., 2008; Koren et al., 2012). Nel primo trimestre si riscontra una composizione microbica intestinale simile a quella dello stato pre-gravidico. Dal terzo trimestre i cambiamenti si dimostrano decisamente significativi evidenziando una maggiore abbondanza di membri dei phyla degli Actinobacteria e Proteobacteria, associata a una riduzione della Biodiversità α contestualmente ad un aumento nella Biodiversità β (Koren et al., 2012). Nei soggetti con sindrome metabolica si assiste praticamente alla deplezione del genere Faecalibacterium, battere butirrato-produttore con valenza antinfiammatoria (Haro et al., 2015). Questi fenomeni oltre al guadagno di peso si associano a insulino-resistenza e incremento di citochine pro-infiamamtorie a livello fecale (Koren et al., 2012). Una verifica su modello murino Germ-Free è stata eseguita mediante trapianto fecale da donne al primo e al terzo trimestre di gravidanza, evidenziando come i riceventi materiale di donne al terzo trimestre acquisiscano un peso significativamente maggiore, sviluppino insulino-resistenza e dinamiche infiammatorie superiori rispetto all’altro gruppo (Koren et al., 2012), palesando variazioni assimilabili dal punto di vista metabolico e immunologico a quelle della sindrome metabolica. La dieta e il peso materno prima della gravidanza sembrano essere fattori in grado di avere effetto sulla composizione del microbiota intestinale; nelle feci di donne in gravidanza in sovrappeso si riscontrano livelli superiori di Bacteroides e Staphylococcus. (Collado et al., 2008), sono state inoltre riscontrate significative correlazioni tra livelli di insulina, polipeptide gastrico inibitorio (GIP), adipocitochine e popolazioni microbiche (Gomez-Arango et al., 2016). Il BMI materno sembra essere correlato al microbiota intestinale del neonato in caso di parto naturale ma non in caso di parto cesareo (Mueller et al., 2016). Anche la terapia antibiotica si dimostra in grado di influenzare il microbiota intestinale; studi su modello murino dimostrano che l’impiego di azitromicina, amoxicillina e cefaclor durante la gravidanza ha dimostrato di aumentare l’abbondanza fecale relativa di Proteobacteria e Enterobacter, riducendo al contempo quella di Firmicutes e Lactobacillus. Questo fenomeno sembra favorire l’incremento di peso e ridurre la diversità batterica. Mentre l’utilizzo di prebiotici in gravidanza e allattamento sembra ostacolare lo sviluppo di una maggiore adiposità sia a livello materno che fetale (Paul et al., 2016). Una valutazione analoga nel modello umano ha dimostrato che la somministrazione di prebiotici nei 14 giorni precedenti il parto sia associato a una modulazione del microbiota materno e neonatale, con effetti riscontrabili nell’espressione dei recettori Toll a livello placentare e riscontrabili nel meconio (Rautava et al., 2012a). Questo secondo alcuni autori potrebbe costituire una sorta di imprinting epigenetico madre-figlio, permettendo di “addestrare” il sistema immunitario verso una risposta adeguata nei confronti di patogeni e commensali (Abrahamsson et al., 2015). Risultati concettualmente simili sono stati ottenuti somministrando a madri allergiche probiotici negli ultimi due mesi di gravidanza e nei primi due mesi di allattamento, riscontrando un ridotto rischio di eczema nei neonati nati da madri trattate rispetto a quelli nati da madri che hanno assunto un placebo (Rautava et al., 2012b).
Il microbiota vaginale ricopre un ruolo chiave nei sistemi di difesa che l’organismo schiera contro le infezioni microbiche e virali (Turovskiy et al., 2011). Il microbiota vaginale è dominato da molte specie tra cui prevalentemente Lactobacillus e alcuni membri dei Clostridiales, Bacteriodales e Actinomycetales (Aagaard et al., 2012). Tra i Lactobacillus che costituiscono la specie dominante si contraddistinguono prevalentemente Lactobacillus crispatus, Lactobacillus gasseri, Lactobacillus jensenii e Lactobacillus iners. La capacità dei lactobacilli di produrre acido lattico contribuisce al mantenimento di un basso pH (<4,5), contribuendo al mantenimento di un microambiente ostile ai patogeni, costituendo una sorta di barriera ambientale, pH più alti (intorno a 5,0) sono stati invece correlati a vaginosi (Ravel et al., 2011). Anche il microbiota vaginale subisce numerose modificazioni tra cui una significativa riduzione della diversità, una maggiore stabilità e l’arricchimento con specie di Lactobacillus (Aagaard et al., 2012), fattore alla base di una diminuzione del pH e dell’aumento delle secrezioni vaginali (Prince et al., 2014a). Secondo alcuni autori alcune specie di Lactobacillus possono esercitare un’azione battericida, costituendo un ulteriore fattore protettivo, mentre altri autori non concordano con queste conclusioni (Spurbeck and Arvidson, 2010), DiGiulio et al. 2015). Nel post partum le comunità batteriche vaginali si mostrano più simili a quelle intestinali, con diminuzione della dversità α e dei Lactobacillus, sostituiti da vari batteri tra cui Actinobatteria, Peptoniphilus, Prevotella e Anaerococcus, queste alterazioni possono persistere fino a un anno dal parto.
Il microbiota orale comprende circa 600 specie diverse tra cui streptococchi, lattobacilli, stafilococchi, e corinebatteri che risiedono in diversi microambienti all’interno della cavità orale come denti, lingua, palato, ecc., (Dewhirst et al., 2010). Dal confronto dell’abbondanza microbica del cavo orale in donne non gravide, all’inizio, a metà e alla fine della gravidanza, emerge come la conta risulti superiore in tutte le fasi della gravidanza, con particolare accento nelle prime fasi. Nel dettaglio ulteriori studi hanno confermato come patogeni quali Porphyromonas gingivalis e Aggregatibacter actinomycetemcomitans siano riscontrabili a livelli più alti durante le fasi iniziale e intermedia della gravidanza (Fujiwara et al., 2015)., mentre per il solo A. actinomycetemcomitans altri autori hanno riscontrato livelli più elevati anche nel terzo trimestre (Borgo et al., 2014). Risultati analoghi sono stati riscontrati per i livelli di Candida, più elevati nella fase media e tardiva della gravidanza rispetto alle donne non gravide. Alcuni autori suggeriscono come i livelli di progesterone e di estrogeni potrebbero spiegare queste variazioni sul microbiota orale della gravida, anche se ad eccezione degli effetti degli estrogeni sui livelli di Candida il resto rimane ancora scientificamente da validare (Kumar, 2013; Fujiwara et al., 2015).
Il “dogma” della sterilità dell’ambiente uterino è stato recentemente messo in discussione da diverse evidenze. Nel 1982 per la prima volta fu descritta la presenza di batteri aerobi nel 16% dei campioni placentari testati, senza evidenza di corioamnionite (Kovalovszki et al., 1982). Da allora altri autori hanno descritto una situazione analoga, fino alla caratterizzazione di un microbiota caratteristico (Aagaard et al., 2014), dove i Proteobacteria rappresentano il phylum principale, mostrando nel complesso una composizione più simile al microbiota orale rispetto a qualsiasi altro organo, presentando specie come Prevotella tannerae e Neisseria. La somiglianza di questi microbioti suggerisce la possibilità di passaggio dei batteri dal cavo orale alla placenta, contribuendo a spiegare come mai donne con malattia del parodonto mostrino un maggiore rischio di complicanze gravidiche. (Gibbs et al., 1992; Je ff erson, 2012; Mysorekar e Cao, 2014; Prince et al., 2014b). Popolazioni batteriche sono identificabili anche a livello del fluido amniotico e del cordone ombelicale (DiGiulio et al., 2010a,b; Romero et al., 2014b). Rimane comunque da puntualizzare come la densità batterica di questi distretti sia piuttosto limitata, nel loro esame si rivela fondamentale escludere la possibilità di contaminazione.
Anche il tipo di parto si dimostra in grado di influenzare significativamente lo sviluppo del microbiota. Generalmente il microbiota di soggetti nati da parto vaginale mostra una maggiore ricchezza di generi batterici quali Prevotella, Sneathia, e Lactobacillus e altri presenti nell’intestino materno. (Mackie et al., 1999; Dominguez-Bello et al., 2010). Al contrario il microbiota intestinale di soggetti nati per parto cesareo si mostra maggiormente ricco si specie derivanti dai microbioti materni orale e cutaneo, con una maggiore presenza di Propionibacterium, Corynebacterium e Streptococcus (Backhed et al., 2015; MacIntyre et al., 2015). Si evidenzia inoltre una ritardata colonizzazione di batteri del phylum Bacteroidetes e una minore Biodiversità α nei primi due anni di vita (Jakobsson et al., 2014), differenza che inizia a ridursi entro i primi quattro mesi di vita e sembra appianarsi notevolmente entro i dodici mesi (Backhed et al., 2015). Questi elementi insieme alla maggiore presenza di Staphylococcus nei nati da parto cesareo, potrebbero spiegare come mai tra il 64 e il 12% dei casi di infezione cutanea da Staphylococcus aureus meticillino resistenti (MRSA) si verifichi nei nati con parto cesareo (Centers for Disease Prevention, 2006). Si ritiene che l’impossibilità di trasmissione dei batteri vaginali possa essere correlata a diverse patologie che in qualche modo interessano il microbiota quali malattia celiaca (Decker et al.,2010; Marild et al., 2012), obesità e asma (Kero et al., 2002). A conferma di ciò è stato osservato come somministrando Lactobacilli nei primi sei mesi di vita si verifichi una riduzione dell’incidenza di atopia nei soggetti nati da parto cesareo ma non in quelli nati da parto vaginale (Kuitunen et al., 2009).
Il microbiota del nascituro deriva come descritto dall’ inoculo materno acquisito in ambiente uterino, durante il parto e da una serie di fattori dietetici e ambientali, mostrando una rapida evoluzione contestualmente a quella delle dinamiche alimentari (latte materno vs. formula e alimenti solidi), contribuendo anche alla corretta maturazione del sistema immunitario. Nei primi due mesi di vita il microbiota intestinale mostra una minore stabilità rispetto a periodi più avanzati dell’infanzia. La biodiversità α aumenta gradualmente nei primi due anni e mezzo di vita mentre l’elevata biodiversità β presente alla nascita tende a ridursi gradualmente nei primi dodici mesi di vita, periodo in cui si riscontra una significativa somiglianza con il microbiota materno rispetto ai primi giorni di vita (Backhed et al., 2015). Si assiste a una progressiva riduzione dei geni microbici richiesti per la degradazione degli zuccheri del latte (abbondanti intorno a 4 mesi) e al contestuale incremento dei geni microbici richiesti per la degradazione degli zuccheri complessi e degli amidi (più abbondanti intorno a 12 mesi) (Backhed et al., 2015). Malattie e cambiamenti ambientali possono influenzare notevolmente il microbiota, fattori come febbre, impiego di antibiotici e cambiamenti nutrizionali si dimostrano in grado di causare cambiamenti dal punto di vista qualitativo e quantitativo. (Koenig et al., 2011). Anche la malnutrizione può causare effetti simili, riconducendo il microbiota a una condizione più simile a quella delle prime fasi dello sviluppo (Smith et al., 2013).
Il latte umano si caratterizza per contenere oltre 200 tipi di oligosaccaridi non ritrovabili in altre matrici alimentari (Kunz et al., 2000). Il classico paradigma relativo alla sua sterilità è stato ridiscusso da recenti evidenze che hanno dimostrato come oltre a contenere batteri il latte umano si dimostri fondamentale per stabilire un “microbioma sano” nel neonato (Heikkila e Saris, 2003; Martin et al., 2007, 2009). Nonostante sia stato possibile identificare nove unità tassonomiche operative (OTU) coerenti su campioni di 16 soggetti (Hunt et al., 2011), anche la composizione microbica del latte umano cambia nel corso della lattazione. Nel primo latte prodotto (colostro) si rinvengono specie quali Weisella, Leuconostoc, Staphylococcus, Streptococcus e Lactococcus, mentre nei campioni di latte raccolti 1-6 mesi dopo il parto contenevano batteri correlati alla cavità orale come Veillonella, Leptotrichia e Prevotella, forse anche a cagione dell’interazione con il microbiota orale del bambino (Cabrera-Rubio et al., 2012). Anche le misure antropometriche sembrano avere un ruolo significativo, nelle donne in gravidanza obese, è stata riportata una maggiore abbondanza di Staphylococcus aureus nei primi 6 mesi di lattazione, associata a una maggiore abbondanza di Lactobacillus durante primo mese, rispetto a quanto evidente nei campioni di madri normopeso (Cabrera-Rubio et al., 2012). Risulta molto interessante notare come nel microbiota intestinale di bambini in sovrappeso si riscontrino alti livelli di Staphylococcus aureus, anche se per motivi ancora poco chiari (Kalliomaki et al., 2008). A oggi si ritiene che le popolazioni microbiche del latte siano di provenienza intestinale e che il meccanismo di traslocazione intestino-ghiandola mammaria possa essere facilitato dai cambiamenti ormonali che seguono la gestazione, con particolare riferimento all’incrementata permeabilità intestinale indotta dal progesterone.
Il latte materno contiene come descritto numerosi oligosaccaridi indigeribili per l’organismo umano ma utilizzabili da numerose specie batteriche tra cui Bifidobacterium, Lactobacillus e Bacterioides, e ulteriormente metabolizzabili se non utilizzati da Streptococcus, Staphylococcus ed Enterococcus (Sela et al., 2011; Manthey et al., 2014). Questo molto probabilmente potrebbe spiegare le profonde differenze presenti tra il microbiota di soggetti allattati al seno e soggetti allattati con latte artificiale. Infatti il microbiota di soggetti allattati al seno è caratterizzato dalla presenza di Bifidobatteri mentre quello di soggetti allattati con latte artificiale è caratterizzato da Enterococchi e Clostridi (Balmer e Wharton, 1989), con un numero minore di cellule batteriche contestualmente a una maggiore diversità di specie rispetto a bambini allattati al seno (Bezirtzoglou et al., 2011). Inoltre nei bambini allattati al seno all’età di tre mesi erano riscontrabili tenori di Lactobacilli orali più alti (con proprietà antimicrobiche) rispetto a quelli allattati con latte artificiale (Holgerson et al., 2013; Vestman et al., 2013). Anche lo svezzamento ricopre un ruolo di importanza fondamentale, infatti è in questo periodo che il microbiota si arricchisce delle specie batteriche caratteristiche dell’adulto tra cui Bacteroidetes e Firmicutes della classe Clostridia: Clostridium, Ruminococcus, Faecalibacterium, Roseburia e Anaerostipes (Valles et al., 2014; Backhed et al., 2015). Evidenziando una maggiore presenza di acidi grassi a corta catena nelle feci in seguito all’introduzione di alimenti solidi.
Approfonditi questi aspetti è possibile comprendere come Identificare i ruoli e i meccanismi sottesi alle variazioni del microbioma a livello dei diversi microbioti, durante le diverse fasi della gravidanza e del post-gravidanza, si rivelano di estremo interesse per pianificare e attuare, interventi specifici per l’implementazione dello stato di salute e la prevenzione delle diverse patologie eventualmente correlate.
Nuriel-Ohayon M, et al. Microbial Changes during Pregnancy, Birth, and Infancy. Front Microbiol. 2016. PMID: 27471494